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Fare a gara con gli shinkansen

  • Immagine del redattore: Tonari no Tokyo
    Tonari no Tokyo
  • 16 gen 2019
  • Tempo di lettura: 4 min

22 ottobre 2018 (月)

La pace di Shibuya.

È una frase così paradossale che è quasi strana da scrivere. Ma come, com'è possibile trovare pace in uno dei quartieri più affollati di Tokyo?

E del Giappone.

E del mondo.

La verità è che i paradossi sono materiale umano. Certo, è sicuramente importante che una persona, nel corso della sua esistenza, stabilisca dei “pilastri” (che altro non sono che i valori) in modo da avere dei punti fermi, delle àncore, dei rifugi dove cercar riparo quando scoppia un acquazzone; questo, però, non è comunque sufficiente a renderci completamente coerenti, completamente fermi sulle nostre posizioni, senza mai cambiarle per tutta la vita.

E per fortuna: non saremmo più umani, così.

Oggi, approfittando del fatto che non lavoro di lunedì (l'internship si svolge quattro giorni la settimana, perciò vado dal martedì al venerdì), ho voluto accompagnare la santa amica che mi ospiterà in casa sua fino ai primi di novembre a fare un giro per una Shibuya poco conosciuta, arrivando fino a Nakameguro, la zona dove viveva fino all'anno scorso.

Nakameguro è un po' fuori Shibuya, ma il suo essere un quartiere piuttosto centrale la rende famosa per i prezzi stellari degli appartamenti: la mia amica mi racconta che molte star giapponesi acquistano casa qui, proprio vicino ai ciliegi che crescono imponenti sugli argini del fiume Meguro. Osservando il lunghissimo argine e immaginandolo in primavera, capisco bene, in effetti, il perché di questi prezzi.

Dopo averla riaccompagnata a casa, ho preso il computer e sono risalita verso lo Starbucks/Tsutaya che si trova a circa dieci minuti a piedi. “Risalita” è il termine giusto: Tokyo è una città che sale e scende con irregolarità, senza costanza, e ti sorprende in moltissimi angoli con salite o discese improvvise. Amo queste sue discrepanze. Sarà perché amo le sorprese, o sarà perché, quando si è innamorati, si ama quel qualcuno o quel qualcosa nella sua totalità, in tutto il suo specchio di pregi e difetti.

Questo è quello che provo per Tokyo: un amore trasversale.

Questa piccola oasi di pace si trova a circa un quarto d'ora a piedi dalle strisce pedonali più fotografate e attraversate del mondo, eppure la quiete è palpabilissima e deliziosa. Il solito caffelatte-tall-size (hotto rate, tōru saizu ホッと・ラテ、トール・サイズ) che ho preso è l’ideale per la giornata di oggi: c'è un sole bellissimo, anche se forse un po' anomalo per il clima ottobrino, ma di tanto in tanto l'aria si fa frizzantina e, vista la mia scelta di scrivere fuori, sotto gli alberi, qualcosa di caldo era quel che ci voleva.

Mentre bevo rifletto sul fatto che amo il Giappone, certo, ma che all'origine di questo amore sta la mia grande passione per le persone. Fosco Maraini, mio grandissimo punto di riferimento per la ricerca della bellezza come forza motrice della vita, si autodefiniva “cittadino della luna”, perché sosteneva che “tutto ciò ch'è umano mi appassiona”. Lo capisco, capisco benissimo questo suo sentirsi osservatore; è un mestiere paradossale, quello dell’osservatore, tanto quanto lo è la pace di Shibuya. Non si smette mai di osservare, e non si giungerà mai a una risposta finale, al segreto ultimo delle cose. Perché noi esseri umani siamo così volubili, così soggetti ai cambiamenti, che una risposta che andava bene ieri può già non avere più la stessa valenza oggi. E questo, che a primo acchito può sembrare frustrante, è per me uno sprone ad andare, a non fermarmi mai nella ricerca, come se fossi preda di una folle estasi che mi spinge a saperne sempre di più, a non averne mai abbastanza.

Una mia senpai ha recentemente espresso un pensiero che condivido moltissimo, come se l'avessi scritto io stessa. Dice di essere grata alla vita non tanto per le occasioni, perché a quelle si va incontro solo uscendo di casa e smuovendo le acque, ma per le persone-chiave che si sono trovate casualmente nel suo percorso. Penso sia una lezione di umiltà, perché ci ricorda che non siamo infallibili e che, soprattutto, siamo sì unici, ma non gli unici (quanta differenza può fare l'aggiunta di un articolo!); e, contemporaneamente, stimola a volersele andare a cercare, queste occasioni.

A impugnare una bussola.

A infilarsi le scarpe da corsa e a fare a gara con gli shinkansen.

È un precisissimo gioco di equilibri, dove si giostrano con maestria una forza di volontà che smuove le montagne e la costante consapevolezza di non essere superiori agli altri.

La senpai mi ha raccontato che, fin da quando era bambina, ascoltava sua madre ricordare a lei e alla sorella l'importanza di “essere presenti a noi stessi”.

Ecco cos'era, ecco il modo giusto di dirlo!

Vuoi dare sempre il massimo in tutto ciò che fai?

Sii presente a te stesso.

Vuoi vivere con consapevolezza ogni evento che ti capita ogni giorno?

Sii presente a te stesso.

Essere presenti a noi stessi è il trampolino di lancio per stare bene con gli altri. È un tendere sempre al 100 nella scala delle percentuali.

… bè. Non pensavo che sarebbe stato il Giappone a farmi apprezzare la matematica.


♪ Coldplay, In my place


 
 
 

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