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La sineddoche dei panda

  • Immagine del redattore: Tonari no Tokyo
    Tonari no Tokyo
  • 9 gen 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

03 ottobre 2018 (水)

Oggi gita alla Kurosuke no ie クロスケの家, la “casa dei nerini del buio” che compaiono prima ne “Il mio vicino Totoro”e, successivamente, ne “La Città Incantata”, entrambe opere dello Studio Ghibli. Pare che Miyazaki sia stato ispirato proprio da questa casa, un edificio dell’inizio dell’Era Shōwa, per realizzare la casa in cui vivevano Satsuki e Mei, le due sorelline protagoniste de “Il mio vicino Totoro”.

La casa si trova a Tokorozawa, nella prefettura di Saitama, a poco più di mezz’ora da Tokyo. Ci sono stata con Makoto, dopo aver trovato un suo biglietto sulla porta di camera mia in cui mi proponeva di trovarci stamattina alle 11.00 alla stazione di Hibarigaoka, vicino alla guesthouse.

Devo dire che questo modo di comunicare mi piace moltissimo. Sarebbe stato molto più comodo se ci fossimo scambiati i numeri o se ci fossimo cercati su Facebook, ma né io né lui abbiamo mai parlato di keitai bangō 携帯番号, di numeri di cellulare, perciò la nostra comunicazione non verbale procede così, con messaggi scritti a mano su fogli decorati con disegni dello Studio Ghibli. Da un lato mi fa sentire tornata indietro nel tempo, nonostante questo 2018 sia al tempo stesso molto vivido.

E la cosa mi piace molto: la trovo decontestualizzata da ogni strascico temporale.

Con Makoto si è discusso moltissimo di Giappone, di spiritualità giapponese, di come i giapponesi percepiscono se stessi e dei loro sentimenti contrastanti nei confronti dei gaijin 外人 o, per essere più politically correct, dei gaikokujin 外国人, gli stranieri.

E di politica. Moltissima politica.

Io sono avida di sapere, pongo a Makoto un sacco di domande e osservo attentamente lui e il suo gesticolare, in barba alla convenzione di non fissare dritto negli occhi una persona per non metterla in imbarazzo. Di tanto in tanto me ne ricordo e direziono lo sguardo fuori del finestrino, osservando il paesaggio che cambia dall’autobus che ci porta verso Tokorozawa.

Makoto, dal canto suo, è molto preso dalla conversazione, ed espone punti di vista piuttosto calibrati, tipici di una persona ragionevole che non si sente legata a un’area politica per tifoseria o abitudine. Francamente avrei giurato che fosse un socialista hippie, visti i suoi modi spigliati e le chiacchiere dei primi giorni, quando mi raccontava che ogni gennaio, insieme ad altri volontari, dedica una giornata alla pulizia della Totoro no mori トトロの森, la foresta di Totoro, per offrire agli animali che si risvegliano dal letargo o tornano dalle migrazioni un ambiente pulito e confortevole per la primavera. Questi atti di amore verso l’Altro, così frequenti e così intrinseci alla sensibilità giapponese, non mi stancano mai. Dissetano generosamente la mia anima, sempre alla ricerca della bellezza umana.

I discorsi di Makoto mi interessano moltissimo, ed è con una metafora che mi spiega l’atteggiamento bipolare che i giapponesi hanno nei confronti degli stranieri:

«Tu», dice, rivolgendosi a me, ma usandomi come sineddoche per parlare di tutti gli europei, «tu sei come i panda di Ueno, Agnese. Quei panda sono un dono della Cina, lo saprai. Ti guardiamo affascinati, pieni di interesse, la tua diversità stuzzica tantissimo la nostra curiosità. Ma non vogliamo che la tua diversità capovolga la nostra “giapponesità”: preferiamo ammirarti da qui, dalla terra di Yamato, e alla fine sarai tu che, quasi inconsciamente, finirai per smussare i tuoi angoli per adattarti a stare con noi. Ed è così che la tua bellezza, per noi, si amplificherà magicamente».

Questa spiegazione, che lì per lì mi fa alzare un sopracciglio (“Figurati se sono i giapponesi a venirti incontro”), nel corso della giornata è rimbalzata più volte nella mia mente insieme a un’altra frase di Makoto, che si trovava in disaccordo con la mia idea di abolire le frontiere:

«Se eliminassimo i confini e chiunque potesse andare ovunque senza nessuna restrizione, quanto si influenzerebbero fra di loro le culture? Certo, da un lato sarebbe sicuramente un arricchimento, ma non pensi che le peculiarità di un Paese andrebbero via via amalgamandosi a quelle di altre nazioni, dando così vita a minestroni non ben definiti come gli Stati Uniti o il Canada? Voi europei, voi americani, voi africani, venite in Giappone in quanto attratti da questo specifico patrimonio culturale. Il Giappone è unico in quanto Giappone, così come l’Italia è unica in quanto Italia. Non credi che valga la pena preservare tutto questo?»

È con questi pensieri ancora in testa che sto scrivendo ora, dalla scrivania della mia camera a Ikebukuro, lasciando la finestra aperta per sentire l’aria fresca di un ottobre ancora mite.

Si odono ancora i grilli la sera, ed è con il loro frinire gentile che ci si addormenta sereni, cullati dalle origini dei miti.


 
 
 

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