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Sasso che rotola non fa muschio

  • Immagine del redattore: Tonari no Tokyo
    Tonari no Tokyo
  • 23 gen 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

30 October 2018 (火)

È curioso scrivere sulla falsa riga di impressioni buttate giù più di due settimane fa. Mi fa sentire un’amanuense degli anni duemiladieci, la cui penna è la tastiera di un computer e il cui foglio è lo schermo.

... Ma con l’agenda cartacea sempre in borsa.

Mi sembra di riportare le memorie di un’Agnese che già non c’è più, cosa sia vera sia falsa a seconda del punto di vista.

Di un’Agnese che ha assaporato e continua ad assaporare ogni momento vissuto qui, anche quando è stanca per le ore di lavoro in più o per i diecimila passi macinati ogni giorno.

E questo, fondamentalmente, perché amo la vita.

Recentemente mi piace riportare spesso la frase che mi disse un ragazzo conosciuto a danze popolari, poco prima della mia partenza per Londra, quasi due anni fa:

“Parti, Agnese, non stare ferma, e ricorda: sasso che rotola non fa muschio”.

Sasso che rotola non fa muschio.

Quanto ho amato questa frase, fin dalla prima volta, e quanto l’ho interiorizzata! La amo per il suo essere poetica senza risultare stucchevole ed essere, allo stesso tempo, immediata. Perché rende subito l’idea: la staticità fa ammuffire. E non si riferisce necessariamente alla staticità fisica, bensì a una permanenza immateriale, a un’immobilità mentale, al modus vivendi di chi non si smuove mai.

… ed è ragionando sull’impermanenza che, in modo assolutamente non stabilito e inaspettato, arrivo a parlare dello shinkansen 新幹線. Del primo shinkansen della mia vita.

L’ho preso da Shinagawa, una stazione piena di persone con valigie o zaini in spalla: è la stazione di Tokyo da cui prendere i treni più veloci del mondo e da cui sono partita per arrivare nella Prefettura di Aichi dalla mia amica Alessandra, che vive a Ichinomiya ormai da due anni, ed è una forza della natura. Un altro essere umano che ha smosso montagne vertiginose per amore della vita.

Dopo aver bevuto in fretta il solito hotto rate ホット・ラテ mi sono mossa verso il binario, impaziente di salire in quel missile e valutare se davvero fosse così incredibile viaggiarci. Che poi, in realtà, sapevo già che , lo sarebbe stato. Ma io sono come San Tommaso, voglio vedere per credere (quanta laicità, quanta scienza in questo santo…), ed è con questi pensieri che lo shinkansen è venuto incontro a me e alle altre persone che lo aspettavano.

Questo bolide ha un profilo appuntito e sottile, come uno squalo bianco, ma a parte l’aspetto non hanno null’altro da spartire. Lo shinkansen, infatti, ispira solo sicurezza ed efficienza, e il suo profilo acuminato, più che incutere timore, sembra volersi aprire un varco fra le nuvole.

Non aspetta un minuto, il bolide, così come non lo aspettano in generale i mezzi di trasporto: il tempo conta, in Giappone. Contano i minuti, conta la puntualità. Come forma di rispetto, ovviamente, non soltanto verso le persone, ma verso la vita stessa. Solo un Paese così profondamente influenzato dalla caducità dell’esistenza, costantemente presente nella letteratura e nella spiritualità di questo popolo, poteva sviluppare un sistema di trasporti così preciso. Così consapevole dell’importanza del movimento per non perdersi.

Sasso che rotola non fa muschio.

Con un libro appoggiato sulle gambe osservavo il paesaggio cambiare velocemente, incantata dalla bellezza delle campagne che si allargavano subito dopo Tokyo. Si percepivano immediatamente la cura e la dedizione con cui queste campagne erano state pettinate. Non tanto come se dovessero essere presentate a un concorso, quanto proprio per amor di precisione. E io amo questa precisione nei dettagli, la amo fin da quando ero una bambina. Qui è normalità, è regola, è quotidianità ordinaria. E per me, di conseguenza, è delizia giornaliera.

Il silenzio che regnava nel treno era straordinariamente percepibile. Ormai avrei dovuto esserci abituata, d’altra parte è così in qualunque mezzo di trasporto in cui si sale. Eppure mi capita ancora di farmi sorprendere da questi grandi silenzi giapponesi. Si riescono a dire molte cose con il silenzio, ma quello che si respira nei mezzi pubblici è puro rispetto, pura comunione con le altre persone, il metodo migliore per viaggiare bene. Questi lunghi intervalli di silenzio sono abbastanza estranei alla normalità italiana, ed è anche per questo che mi affascinano. Amo le diversità tanto quanto amo vedere i punti in comune. Mi piace scartarli come Charlie de La Fabbrica di Cioccolato scartava una tavoletta di cioccolato: con amore rispettoso. E con curiosità rinnovata in ogni scoperta.

Sasso che rotola non fa muschio.

Il caso vuole che David Byrne, che sto ascoltando in questo momento dentro uno Starbucks, stia ripetendo nel ritornello della sua canzone che, in fondo, it’s nothing at all.

Ma questo nulla, per me, è tutto.


♪ David Byrne, Nothing at all


 
 
 

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