"You only are free", o della bellezza del caso
- Tonari no Tokyo
- 30 gen 2019
- Tempo di lettura: 2 min
13 Novembre 2018 (火)
“You only are free when you realize you belong no place – you belong every place – no place at all.”
Maya Angelou, poetessa afroamericana
Sono parole che sento così mie che penso siano le prime che vorrei farmi incidere sulla pelle, a suggello che questi pensieri sono miei e che mi appartengono del tutto.
… L’alba a Dubai.
Devo aspettare quattro ore, tante sono le ore di scalo per il volo che da Tokyo mi porterà a Venezia per una decina di giorni: il tempo di mettere insieme le mie cose, fare qualche acquisto e salutare gli amici, per poi tornare in Giappone.
Quattro ore non sono poche, perciò decido di cercare un posto dove sedermi e scrivere, perché voglio che il mio corpo percepisca già il cambio di fuso orario e si adatti al cambio di luce.
E poi, diciamocelo: quanto dev’essere bella l’alba a Dubai?
Mi sono sempre sentita molto più affine all’alba che al tramonto, anche nei periodi di maggiore vicinanza al Decadentismo e al Simbolismo (adolescenza be my sunshine). Un po’ perché mi sono sempre sentita un animale diurno, più che notturno, e poi perché la trovo più sorprendente. Anzi, a dirla tutta penso proprio che l’alba sia definibile con un ossimoro: è discrezione sorprendente. Perché quando appare ti lascia a bocca aperta, l’alba, come i regali sotto l’albero la mattina di Natale; però non è volgare, non è sguaiata. Ha sempre il trucco perfetto, l'alba. E ti ammalia solo con la sua presenza.
Sono le 06:20, ma il cielo comincia a schiarire soltanto adesso, rivelando delle strane tonalità verde acqua, che mai avrei collegato al primo mattino. Stacco gli occhi dal cielo per scrivere e un minuto dopo ha già un altro colore. L’alba è come i treni in Giappone: non aspetta nessuno.
Dopo essermi seduta in un Costa Café e aver preso una bottiglietta d’acqua (Dio solo sa quanto debba bere e quanto diavolo mi abbiano rimpinzata nell’aereo di Emirates), sento da un microfono delle note che riconosco subito: è il Salāt al-fajr, la preghiera musulmana che si recita ogni giorno all’alba, che sentii per la prima volta a Sarajevo, nell’estate di tre anni fa. Davanti a me c’è una ragazza con il velo che sta facendo colazione, dietro di me una coppia di tedeschi che ridono per qualcosa che probabilmente è capitato loro durante la vacanza.
La preghiera sembrerebbe passare in sordina, ma in realtà è parte di questa mattina in aeroporto, insieme a tutte le altre cose che mi circondano. È così naturale, e al tempo stesso così incredibilmente decontestualizzata. Sembra la scena di un ipotetico Lost in Translation girato a Dubai, dove i personaggi si sentono spaesati in quella che, per altri milioni di persone, è invece la normalità.
Ecco perché Maya Angelou ha così ragione.
Perché quando realizzi che ogni luogo è casa, che quella che per te è stranezza è quotidianità per altri, che è solo per coincidenza che si è nati in una certa parte di mondo, che tutte le culture sono in realtà un’unica cultura, la cultura umana… Ecco, ti senti veramente libero.
06:35. Il sole è sorto.
Buongiorno, Dubai.

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